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Sant’Emidio 2017-01-10T20:08:04+00:00
Sant’Emidio

Emidio di Ascoli (Treviri, 273 – Ascoli Piceno, 5 agosto 303 o 309) è stato un vescovo romano, venerato come martire cefaloforo dalla Chiesa cattolica; è il santo patrono della città e della Diocesi di Ascoli Piceno e della cittadina di Leporano, protettore contro il terremoto.

La sua festa per la Chiesa cattolica ricorre il 5 agosto.

Le spoglie del santo sono conservate nella cripta sotterranea del duomo di Ascoli Piceno detta Cripta di Sant’Emidio, mentre il tempietto di Sant’Emidio Rosso ricorda il luogo dell’esecuzione.

Al culto emidiano è strettamente associato quello minore di santa Polisia (o Polesia), figlia del prefetto romano Polimio, che abbracciò la fede cristiana dopo aver ascoltato la predicazione del primo vescovo di Ascoli.

Sant’Emidio è anche il nome di uno dei sei sestieri della città che nella ricorrenza della quintana si danno battaglia per conquistare l’ambito palio.

Dedicata al Santo è nata, nel 2008, ad Ascoli Piceno l’Associazione “Sant’Emidio nel mondo”.

A partire dal medioevo, la festa patronale di S. Emidio costituisce la «Festa conveniens» di tutta la città e del suo Comitato territoriale, avendo una ricorrenza fissa (il 5 agosto, data tradizionale del martirio di S. Emidio). La festa era quindi una celebrazione di tipo calendariale o di consuetudine. Analogamente a quanto avveniva in molti Comuni dell’Italia di antico regime era la massima espressione dell’autonomia cittadina. In poche città la festa patronale è sentita come avviene, da secoli, in Ascoli. Per comprendere questo fatto, che va oltre la stretta devozione religiosa, occorre fare riferimento alla struttura del Comune medioevale. Annunziata dai banditori come l’evento principale dell’anno, dal XIII sec. la festa di S. Emidio si è articolata secondo precisi e complessi riti e cerimoniali (che si tenevano per lo più o si concludevano in Piazza Arringo), con un succedersi di eventi religiosi, civici (si pensi all’offerta dei pali da parte dei Castelli e delle Terre del comitato territoriale e dei ceri da parte delle corporazioni), economici (anzitutto, la grande fiera «franca») e ludici (come le giostre dell’anello e della Quintana, il palio a cavallo e la corsa a piedi).
Oltre ai riti e ai cerimoniali rigorosamente prestabiliti, la festa ha presentato sempre momenti di grande spontaneità, espressione di una società variegata e composita, non chiusa in se stessa («con solempnità de jochi et de balli, alegramente», Statuti, St. Pop., Lib. II Rubr. 6). La devozione per il santo patrono, con il consenso della chiesa locale e delle autorità civili venne infatti a scandire il calendario annuale, analogamente alle grandi feste liturgiche e alle fasi fondamentali del ciclo rurale e confluì nell’intersecarsi di due culture, la mistica cristiana e la cavalleresca. Quest’ultima venne inserita a pieno titolo nella festa, incanalando i giochi e le compagnie di quartiere altomedievali, ridefinendo in chiave comunale il valore storico e sociale della cavalleria medioevale, e dando espressione sublimata nel costume della festa cittadina a fazioni le cui gesta nel resto dell’anno erano spesso violente e tragiche.

(testo preso da Wikipedia)